Non dire a causa del Signore mi sono ribellato: la ribellione, in greco afistemi, è il primo passo nella via dell’errore ed è una scelta interiore, profonda e invisibile. Afistemi vuol dire ribellarsi, andare via, distanziarsi e rigettare l’autorità di qualcuno. E’ formato da apo separazione e istemi alzarsi, sorgere, levarsi. Questa parola descrive l’essere separati da qualcosa o qualcuno, l’autorità, andare via e starne lontano, non solo in senso fisico ma soprattutto di appartenenza e legame. Il peccato non nasce nelle azioni, parte molto prima, nel momento in cui si spezza il nostro legame di fiducia con Dio e con la vita. Di fronte a qualsiasi azione dannosa che compi e vorresti cambiare chiediti dove si è interrotto il filo che ti collegava alla felicità? Dove hai smesso di avere fiducia nella vita e nel bene? Dove ti sei ribellato? Perché da lì parte ogni sofferenza.
Non dire Lui mi ha sviato: dopo la ribellione nasce ’inganno che ne è la diretta conseguenza. Il verbo che qui viene tradotto con sviare è planao che significa andare fuori strada, vagare fuori dal percorso, essere in errore. Nella prima lettera di Giovanni si parla dello spirito plane, lo spirito dell’errore che fornisce ’errata visione delle cose e della realtà. L’inganno fa apparire vera la bugia, ci fa scambiare la verità per menzogna e la menzogna per verità. Ingannato nel suo modo di vedere e di pensare, l’uomo compie passi che lo allontanano dalla felicità e dalla vita, quasi senza rendersene conto, convinto di essere nel giusto. Per cambiare un’azione dannosa non basta vietarla, dobbiamo anche rivelare l’inganno che ci ha portato ad accettarla e a sceglierla altrimenti non riusciremo mai a crescere veramente in maturità e sapienza.
Perché egli non ha bisogno di un peccatore: il peccare è l’ultimo passo del cammino. La parola greca che troviamo è amartano con mancare il bersaglio, sbagliarsi nel mirare, vagare, perdere la strada, perdere il proprio punto. Corrisponde ad una negazione dell’accadico amaru mirare, cogliere un risultato e amertu mira, controllo. Il verbo greco è formato da a particella negativa e meros parte: letteralmente il senza parte. Si collega al concetto di peccato nell’antico testamento, che viene tradotto con l’immagine della pecora che si stacca dal gregge. Il peccato nelle scritture non è mai qualcosa di morale, descrive piuttosto la perdita della propria strada, della propria felicità, la perdita di se stessi. La pecora lontano dal gregge non trova cibo, non ha protezione, è sola nel suo vagare senza meta. Nel peccato l’azione dannosa esiste, ma è la conseguenza dell’aver perso la propria strada e il proprio senso. Un uomo felice non è violento, un cuore in pace non crea danno.
Mi ribello, mi inganno, pecco. Sono i passi dell’errore che portano fuori strada e ci fanno perdere il cammino. Tre passi, tre scelte, tre dimensioni. Per ritrovare la strada di casa dobbiamo ri-orientare non solo l’azione ma anche e soprattutto mente e cuore.