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02 Ott

XXVII domenica T.O. - 2015

Quando sei giovane fai molte domande e avanzi richieste. Quando sei adulto devi dare risposte e offrire servizi. E’ evidente in questo tempo, la crisi e il fallimento di molte famiglie. Quanti coniugi incontro per pormi domande, che chiedono, con ragione, se valga la pena insistere nel tentativo di aggiustare un rapporto nato male e che si sta rivelando irrimediabilmente guasto. Non ci sia ama più, ci sono incompatibilità di carattere, ci si fa dispetti, si parla solo per offendere e anche i figli vengono coinvolti nel fallimento dei genitori. Quale senso ha continuare insieme? Può Dio esigere una convivenza che è un supplizio? Non è meglio che ognuno se ne vada per la propria strada e si ricostruisca una vita?

A queste domande la logica degli uomini e del mondo risponde senza esitazioni: “meglio il divorzio!” E se tante coppie si sono separate dopo anni di matrimonio, non è preferibile la convivenza? ... altri, dicono: “se le cose non vanno, meglio lasciarsi senza tanti problemi”.

Sono diventato adulto e oggi mi viene chiesto di dare risposte. Anche Gesù fu interpellato dai farisei sul matrimonio e sulla liceità del divorzio, un argomento evidentemente anche allora sentito e controverso. In verità i farisei non cercavano una vera risposta, ma volevano solo metterlo in difficoltà; quale argomento più adatto per mettersi contro un mare di gente oppure di essere accusato di populismo?

Quello che va chiarito è che il grande tema non è il matrimonio ma la solitudine! Nell’atto creativo l’uomo, non inteso come maschio, non ha nessuno con cui entrare in relazione. La Genesi parla di una rassegna di viventi (animali) da cui cercare aiuto, ma questo non basta. Non serve solo chi aiuti questo “adam”, perché la sua solitudine si interrompa. La soluzione è diventare due, la soluzione è la relazione. Ma la relazione non si esaurisce nella seduzione o nel confronto, ma si realizza nell’unità. Ecco la grande risposta! Un unità che gradualmente deve essere desiderata e maturata insieme nella coppia, non giudicando le diversità ma accogliendola come ricchezza.

Gesù conosce la storia degli uomini che deformi si uniscono ad altre creature per colmare il vuoto della solitudine, senza curare la qualità o il fine della relazione. Procediamo senza progetto, senza maturità, senza visione, giustificando ogni nostra scelta per nascondere o rifiutare che lo scopo della relazione non si esaurisce nel distinguersi tra uomo e donna, ma è quello di ricostruire l’unità del genere umano. Gesù corregge chi in modo arbitrario vuole proteggere ed esaltare la propria autonomia o cuore duro, togliendo sapore e direzione all’amore. L’indissolubilità è una esigenza dell’amore, non è un precetto. Non basterà mai una legge per regolamentare una relazione. E’ necessario accettare che il nostro cuore ha nostalgia di qualcuno, che gli sia simile. “Kenegdo”, tradotto dall’ebraico con “simile”, in realtà significa: “come contro di lui”. La donna è stata posta all’uomo di fronte all’uomo, non per essere dominata, ma per instaurare con lui un rapporto di dialogo profondo, che comporta inevitabilmente tensioni, perché l’obbiettivo è la progressiva umanizzazione di ambedue. Donna e uomo divengono in questa prospettiva, “aiuto” l’uno per l’altro. Senza nostalgia di un amore a cui tendere, da costruire e maturare nel tempo, senza il desiderio di unità e di comunione, ogni differenza diventa motivo di divisione. Servono sempre nuove domande ma anche l’umiltà di cercare e accettare le risposte che il Signore offre al nostro cuore.

d. Andrea

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