Un giorno il profeta Geremia si è chiesto sfiduciato: “Cambia forse un Etiope la sua pelle o un leopardo la sua picchiettatura?Allo stesso modo, potrete fare il bene voi abituati a fare il male?” (Ger 13,23). Gesù stesso un giorno disse: “Si raccoglie forse uva dalle spine o fichi dai rovi?” (Mt,7,16). Potremmo farci dominare dallo sconforto come Geremia davanti alla inutile ignoranza di coloro che continuano a scegliere, a scrivere caratteri di divisione. Sembrano rovi che non potranno mai portare frutti. Ma non è così!
Scrivere parole è un modo per comunicare che abbiamo a disposizione, ma non sempre le parole sono stato lo strumento privilegiato per i cambiamenti profondi. Dire: “Pentecoste” potrebbe illuminare qualcuno, ma lasciare indifferenti molti. Pentecoste è l’aiuto che abbiamo ricevuto per comprenderci, per incontrarci ed avvicinarci oltre il limite delle parole. La Pentecoste era una festa ebraica molto antica, celebrata cinquanta giorni dopo la Pasqua: commemorava l’arrivo d’Israele al monte Sinai. Lì, Mosè e il popolo ha ricevuto “dieci parole” dal Signore per offrire un punto di riferimento per tutti. Parole chiare che garantissero il bene comune (Es 20,1-17). Sono state chiamate le parole della “Legge”. Ma sappiamo bene e la storia ce lo insegna che ogni legge è un buon deterrente per correggere e guidare, ma non sempre produce cambiamenti profondi, condivisi e duraturi.
Noi cristiani viviamo un’altra Pentecoste: è “l’effusione dello Spirito” come dono del Risorto. Lo Spirito ha sostituito l’antica legge. Prima di ricevere lo Spirito il mondo era un grande rovo, concimato con parole di giustizia in attesa di frutti! … ma questi non sono arrivati perché l’albero rimaneva cattivo … “l’uomo cattivo dal suo tesoro trae fuori il male” (Lc 6,43-45). Solo l’uomo che accoglie lo Spirito, prima di scrivere e parlare, torna ad “ascoltare”. Ascoltare per lasciarsi istruire ed istruire altri. In questo clima sempre più ricco di tensioni e buoni proclami, questa Pentecoste è un invito al “Silenzio profondo” per ascoltare il grido della terra, il grido dei più deboli che cercano “uomini dal cuore nuovo”, uomini che parlano molte lingue ma uniti nell’unico desiderio di amare con lo stesso amore di Dio. E’ un innesto che ogni pianta può ricevere per portare frutti. Dove giunge lo Spirito avvengono sempre sconvolgimenti e trasformazioni radicali, cadono barriere, si spalancano porte, tremano tutte le vecchie sicurezze. Tutto sta tremando, ma questo non ci deve rendere deboli, ma consapevoli del pericolo, farci uscire per incontrarci e ascoltare, superare paura e divisioni, ritrovare i valori, la fede, il bene senza svendere a chiunque la nostra storia, la nostra eredità.
d. Andrea