Sembra un paradosso, ma guardando al passato, al coraggio di alcuni uomini, alla fede delle loro scelte, ci viene chiesto di imparare a vivere senza timore. Così è stato per il popolo di Israele e per ogni credente. La memoria della storia aiuta a superare i tempi dello sconforto, delle avversità, per guardare con ottimismo il futuro. Come Israele fece memoria dell’Esodo, del dramma di quei giorni che diventò liberazione dall’oppressore e dalla schiavitù, cosi il cristiano dovrebbe custodire la memoria della Pasqua di Cristo, per leggere gli avvenimenti della vita con la luce della speranza e della salvezza che Dio sta operando ancora oggi. Se si custodisce la memoria della morte e risurrezione di Cristo e si celebra il suo memoriale, si entra nell’amore di Dio, si comprende come educare e costruire una famiglia, un governo, una comunità.
“Quella notte (Egitto) fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio, sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà. Il tuo popolo infatti era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici. Difatti come punisti gli avversari, così glorificasti noi, chiamandoci a te. I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri” (Sap 18,6-9). Siamo chiamati a rileggere la nostra storia per andare oltre i semplici fatti, e correggere quei pregiudizi che impediscono di plasmare nuovamente il presente.
Il coraggio è ammirato e riconosciuto. Richiede fede prima di tutto e alcuni atteggiamenti che non devono mai mancare nella vita. “La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio” (Eb 11,1-2). Davanti a queste parole monumentali dobbiamo fermarci. Nel tempo del tutto e subito, dell’inquietudine, della violenza casalinga e internazionale, perché continuiamo ostinati a rivendicare forme di potere dominando sul più debole, rifiutando ogni impegno che chieda il coraggio della fede che vede oltre?
“Per fede, Noè, avvertito di cose che ancora non si vedevano, preso da sacro timore, costruì un'arca per la salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e ricevette in eredità la giustizia secondo la fede. Per fede, Abramo, chiamato da Dio (a 75 anni), obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell'età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città” (Eb 11,7-16).
Serve il coraggio di dare una risposta ad una chiamata che Dio non fai mancare nel presente. Ancora oggi dice: “Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese” (Lc 12,35). E’ l’atteggiamento del pellegrino pronto a mettersi in cammino, che accetta di non mettere radici in comode e rassicuranti dimore, per essere aperti con semplicità e fiducia al passaggio di Dio nella nostra vita, alla volontà di Dio che ci guida alla meta successiva. Ci vuole coraggio per liberarsi da una vita statica e rischiarare senza timore tutte le notti della paura.
d. Andrea