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06 Ago

 

XIX^ domenica T.O. anno B – 2021

Luccica, raro, costoso, desiderato, nascosto, conteso: è l’oro. Da quando sono bambino ho sempre sentito parlare della corsa all’oro. Non tanto per speculazioni in borsa, ma per quell’attrazione che questo metallo ha sempre avuto nella storia dell’uomo. A lui si attribuisce ricchezza, felicità ed eternità. Generazioni di uomini lo hanno cercato e desiderato.

 Scrivo questa pagina nei giorni delle olimpiadi, rinviate di un anno per una pandemia che ha interessato tutto il mondo. Un’edizione che passerà alla storia, per due medaglie d’oro italiane nell’atletica leggera, in due discipline mai conquistate: Marcell Jacobs nei cento metri piani, con un tempo di nove secondi e ottanta centesimi, e Gianmarco Tamberi nel salto in alto, con un’altezza di due metri e trentasette centimetri. Strepitoso e commovente anche per i “pagani sportivi”.

 Non mi soffermo nell’esaltare l’impresa sportiva dei due atleti, ma mi piace raccontare brevemente la loro storia. E’ la vita di due giovani pieni di speranze e sogni, che si sono scontrate con la dura realtà e la fatica. Viviamo di storie, ci piace ascoltarle perché possono istruire e consegnare “oro colato”. Come cristiano penso che ogni storia abbia bisogno di essere inserita nella “storia della salvezza”, ecco perché considero la “parola di Dio” il mio oro, perché in essa si racconta non solo la storia degli uomini, ma come alcune di queste siano diventate significative.

 Elia, impaurito, si alzò e se ne andò per salvarsi. Giunse a Bersabea di Giuda. Lasciò là il suo servo. Egli s'inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d'acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. Tornò per la seconda volta l'angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l'Oreb” (1 Re 19,3-8).

 Elia, aveva trovato l’oro. Non quello del mondo, ma quello nascosto agli occhi del mondo: la fede in Dio. Da lui aveva ricevuto la chiamata e l’elezione a profeta, inviato tra gli adoratori pagani a smascherare menzogna e ipocrisia. Uno che mirava in alto, con l’asticella rivolta al cielo, sempre alla ricerca della verità e di una volontà non sua, ma custodita come tesoro prezioso. Era veloce nelle decisioni, come nessuno in quel tempo e nelle olimpiadi dello spirito aveva sconfitto più di cento avversari, adoratori di Baal. Ma un giorno qualcosa si è rotto. Sfinito e deluso pensa di essere solo e incapace di proseguire: vuole morire!

 Così per Gianmarco Tamberi nel 2016, in prossimità dei giochi olimpici di Rio de Janeiro, accade l’imprevisto: una rottura del legamento deltoide al piede sinistro. All’apice della preparazione atletica - in quell’anno aveva saltato in alto due metri e trentanove centimetri - la medaglia era cosa certa. La possibilità di lasciarsi morire in quei giorni è stata alta. Tutto sfumato, tanti sacrifici resi inutili in pochi istanti. Ma il Signore manda i suoi angeli, un padre che lo stimola, una buona equipe medica, una fidanzata d’oro che scrive sul gesso in quel periodo buio: “road to Tokio 2020” (poi corretto con 2021,) una ragazza che ha messo in secondo piano la sua vita, per portare questo atleta a dire: “proviamoci!”. Gianmarco accetta la fatica di ripartire.

 Marcell Jacobs, vive una rottura diversa, forse meno grave all’apparenza ma con tempi di recupero molto più lunghi. Dopo un anno dalla sua nascita, il padre lo abbandona e la madre da sola, con tanta fatica e sacrifici lo fa crescere. Una ferita aperta per lunghi anni, affrontata e guarita solo recentemente. Un “mental coach” e una squadra d’oro, gli riconsegna la forza per credere in sé e nei doni ricevuti. Una sofferenza che rende salda l’anima dell’uomo nuovo, che corre non per vanità ma per riscattare una vita che sembrava fallita.

 Elia riceve un aiuto inaspettato. Una “visita angelica” e un nuovo ristoro. Una voce interiore che lo invita a rialzarsi, a prendere in mano il suo gesso emotivo, come Gianmarco Tamberi, per ripartire. Pensava di essere rimasto solo, di non poter raggiungere la meta, il monte Oreb, alla ricerca di quell’oro così dimenticato dagli uomini che si accontentano delle ricchezze del mondo e non sanno desiderare il cielo.

 In questi giorni di agosto la chiesa ha vissuto il “Perdon d’Assisi”. L’eredità preziosa che Francesco d’Assisi ha lasciato ad ogni uomo; primatista per secoli nei “poveri in spirito”. Francesco è beato come pochi uomini nella sua categoria. E’ ripartito da zero, lasciando agli stolti e ai ciechi l’oro del mondo, per cercare fino all’ultimo respiro il senso profondo del nostro vivere: l’amore di Cristo e la sua misericordia, ricevuta e donata. Questo è l’uomo nuovo e ricco.

 Mi sono commosso nel vedere una vittoria sportiva nell’atletica leggera, tanto desiderata e forse inaspettata, come vorrei piangere anche per tutte quelle anime, che come Elia, trovano il coraggio della fedeltà in questo tempo, dove tutto sembra precipitare, dove Cristo viene rifiutato ed escluso dall’olimpiade delle nostre storie. E’ lui il vero “oro”! Senza di lui non c’è gioia eterna, ma semplici emozioni temporanee, per quanto intense. Mi piace pensare che questi atleti come il profeta Elia, abbiano incontrato angeli senza saperlo, abbiano quella fede che tanto commuove Dio, così rara in tanti cristiani e nella chiesa.

 L'angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Elia - Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l'Oreb”. Dobbiamo lasciarci toccare il cuore da Dio, per ritrovare la forza per rialzarci e rimetterci in cammino. Se lo fanno gli atleti per un’olimpiade, tanto più la loro determinazione ci doni l’esempio per impegnarci a ricostruire le nostre vite. Quei quaranta giorni sono il simbolo di un’intera vita dedicata per una vera esperienza salvifica e non solo dei brevi tentativi.

 Conosciamo la sconfitta e il fallimento, l’illusione e il pianto, la morte e il dolore, ma sono solo l’inizio di un cammino per farci umili e tornare con fede a sperare sul monte – l’Oreb. Lì c’è quel podio, offerto a tutti gli uomini che vogliono vivere ogni momento come un piccolo passo verso quell’oro che si chiama salvezza: Gesù risorto dona la pace e la gioia a suo tempo. Il tempo è prezioso, è come l’oro. Spetta a noi non sprecarlo.

 

d. Andrea

 

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