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20 Giu

CORPUS DOMINI – ANNO B 202

 

Ogni istante si rischia il tutto per tutto. Non abbiamo il controllo di nulla, anche se certamente paura e prudenza, consapevolezza e percezione, possono aiutare nelle scelte e nel ridurre i rischi. Non passa giorno dove il mondo consegni informazioni sulla sorte di molte persone: incidenti mortali, malattie, violenze, guerre, licenziamenti, stragi, ecc.

Non sappiamo sempre il perché di certi eventi, e spesso ci troviamo disarmati e basiti di fronte a questi drammi. Sembra una roulette giornaliera dove qualcuno vince e qualcuno perde, a volte anche la vita. Che ci sia qualcuno che tira a sorte?

La sorte ci attira e qualcuno ne fa addirittura una dipendenza, un vizio, una mania, un cibo. Proprio per l’incertezza del futuro e per la fatica di accettare il presente, il mondo propone qualcosa su cui puntare, credere e investire speranza: il gioco! E’ il gioco che si trasforma in lotterie, schedine, gratta e vinci, concorsi a premi in denaro, le “ludopatie”, cioè quando il gioco ci rende anoressici o bulimici, consegnandoci uno stato di eccitazione desiderato, con tutte le disfunzioni e gli effetti collaterali della scelta, per alleviare l’angoscia interiore.

All’apparenza il gioco d’azzardo e la ricerca della buona sorte, sembra solo il desiderio di un po’ di fortuna a basso costo, ma nel tempo può creare dipendenza, impotenza, colpa, ansia, depressione, disturbi psicologici, lasciarci poveri e senza cibo.

Nel profondo dell’anima si nasconde il rifiuto di accogliere la fatica del cammino e la responsabilità che la vita ci consegna ogni girono. C’è il rifiuto o una grande inconsapevolezza di come cercare risposte di senso alle inevitabili angosce della vita e ai suoi digiuni. A livello spirituale, senza Dio e un cammino di fede tutto sembra legato al caso.

Allora Giuda Iscariota, uno dei Dodici, si recò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. Quelli, all'udirlo, si rallegrarono e promisero di dargli del denaro. Ed egli cercava come consegnarlo al momento opportuno” (Mc 14,10-11).

Questo tempo di isolamento sta poi ampliando il gioco in “rete” per la facilità di accesso; si compie e si sceglie la propria sorte lontano dagli sguardi giudicanti, chiusi nella solitudine della propria prospettiva. Restiamo adolescenti negli atteggiamenti e nelle soluzioni, nella ricerca di guadagni facili. Se poi si vince, la buona sorte sembra “baciarti”, un bacio che può chiederti di tradire l’anima, il prossimo e i beni eterni.

Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: «Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?». Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua” (Mc 14,12-16).

In quella stanza, Gesù ha compiuto il “gioco” della sua vita e quella nostra. Non ha fatto un azzardo ma una scelta precisa. Ha chiesto ai suoi amici di seguire un uomo con una brocca d’acqua, simbolo di un cambiamento profondo: il battesimo. Un sì che è un affidare la vita, non alla sorte ma, a Dio che ci ha scelto e che ci ama. Quelle brocca d’acqua ricorda l’amore di un incontro tra la Samaritana al pozzo e Gesù. Una donna che aveva gettato il suo cuore negli “slot” degli idoli del mondo, dei falsi amori, per mendicare affetto e ricchezze vane. Ora, prima dell’ultima cena, questa brocca è piena di salvezza e di verità ritrovata, e viene indicata per salvare.

Gesù sceglie la Pasqua come passaggio dalle dipendenze del mondo a quel memoriale che sta consegnando - Corpus Domini - per coloro che crederanno in Lui. Una cena che cambia la storia e che strappa ogni uomo dalla paura di fallire, dalla sorte, per consegnarci un percorso di fede, di amore vero contro la solitudine e la fame.

E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio»” (Mc 14,22-25).

Gesù supera la sua angoscia con un gesto di comunione. Ci libera dall’isolamento, dai suoi inganni e dalle sue dipendenze. Gesù ha a cuore la sorte e la vita di ogni uomo. La sofferenza e la prova viene affrontata con un sapersi donare, per rinnovare l’alleanza con il Padre.

Gesù esce sconfitto dal mondo, ma vincitore in cielo, povero ma ricco di anime che ancora oggi lo scelgono come tesoro prezioso per curare ogni sofferenza e realizzare in pienezza i desideri più profondi. Nella gratitudine si affida al Padre e a lui tutto affida.

Per amore si può rischiare il tutto per tutto. Non c’è il caso ma un progetto di redenzione, che lontano dalla fede, dalla preghiera, dall’eucarestia, difficilmente si può scorgere e accogliere.

d. Andrea

 

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