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28 Feb

II^ domenica di Quaresima - anno B  - 2021

“C’è un solo modo di vedere le cose finché qualcuno non ci mostra come guardare con altri occhi”, disse un giorno Picasso. Non mi sono mai accontentato di quello che mi hanno insegnato. Mi è sempre piaciuto andare oltre. Non è stato un atteggiamento di sfida, di polemica, ma piuttosto la ricerca di un senso più profondo di ciò che mi era stato consegnato.

Credo che la vita ci attragga verso qualcosa che ci manca, ecco perché esiste la creatività e la ricerca, per esprimere e dare forma a questo desiderio. Non dovrebbe diventare solo la scoperta di un limite o l’ardire di superarlo, come spesso accade. Di fatto, ogni obiettivo e ogni record consegna lo stimolo per ampliare i confini della nostra mente. Ci manca sempre qualcosa, ci manca sempre qualcuno. Questo lento ritrovare e incontrare, a mio avviso è la via della felicità. Sì, non nella pretesa di raggiungere un obbiettivo, ma nella bellezza del cammino accettato.

Riconoscere ciò che manca ci mette in relazione, ci stimola a non rimanere in superficie, a salire oltre la semplice visuale condivisa da molti. Accade nella scienza, nella ricerca, nel lavoro, nella vita spirituale, nella gestione dei rapporti affettivi, nei processi educatici e terapeutici. Quando riusciamo a percepire per qualche istante di aver trovato qualcosa di nuovo, scatta allora lo stupore, la meraviglia, la gratitudine, il coraggio di parole e scelte nuove. Emerge quella luce che mostra oltre il creduto e il già visto, nei volti e nei cuori di chi ha fatto questa esperienza. Una luce da custodire. Una luce che ci può anche spaventare per la prospettiva offerta.

“Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro” (Mc 9,2-8).

Sei giorni prima Pietro aveva visto in Gesù qualcosa di nuovo, e ispirato dal cielo disse: «Tu sei il Cristo» (Mc 8,29), ma qualche istante dopo, Gesù nel tentativo di mostrare a Pietro ciò che manca in questa affermazione lo rimprovera, perché egli si era rivelato come un Messia che doveva attraversare la sofferenza:“Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini»” (Mc 8,33). A Pietro manca qualcosa: si rifiuta di osservare attraverso la lente della prova, del fallimento. Come tutti in Israele, anche Pietro si aspettava un nuovo re Davide, che umiliasse i nemici come in passato, o uno come Salomone che riportasse lo splendore e l’abbondanza in tutta la nazione.

Salire in alto fa sempre piacere, se è sinonimo di successo, di prestigio, di gloria. Ma Pietro cade nell’inferno per alcuni giorni, proprio perché gli manca qualcosa. Cammina in silenzio, tra i turbamenti e la notte dell’anima, incapace di percepire la trasformazione in atto.

Sono in tre a salire sul monte con Gesù. Accettiamo oggi la chiamata, la nostra vocazione, anche se siamo in pochi? Siamo disposti a fidarci ancora di quella voce che dal cielo afferma: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». Ci manca spesso qualche atto di fiducia, qualche passo “su un alto monte”, oltre i protocolli e gli inevitabili pregiudizi insegnati con astuzia, dal mondo e dalla sua logica di morte.

Gesù sale “su un alto monte”, non da solo ma con quegli uomini che accettano ancora oggi di seguirlo. Non ci sono le folle, non ci servono! Si trasfigura per riportare luce la dove tutto sembrava già conosciuto, concluso nella delusione, nello sconforto, nella mormorazione che a nulla serve se non ad alimentare satana.

Ci manca un po’ di felicità!

La troveremo quando torneremo a compiere prima di ogni cosa la volontà di Dio, a custodire la sua parola come tesoro prezioso. La trasfigurazione ha questa finalità: attraversare la passione senza perdere di vista la gloria; vivere i tradimenti e l’abbandono senza dimenticare la capacità di amare gratuitamente che ci mantiene nella pace; stare a contatto con la desolazione e la fragilità degli uomini senza perdere di vista la consolazione dello Spirito Santo.

Ci manca l’amato!

Ci manca sentirci amati da qualcuno, così come la vita ci ha pensati e desiderati. Lo cerchiamo nelle creature questo amore, lo attendiamo da loro, sperando di sentirci dire: “amore mio”. Ma spetta a ciascuno di noi, ritornare ad ascoltare il cielo, perché solo l’udito rende lo sguardo capace di vedere oltre. Vedere senza essere spaventati per affermare: «Rabbì, è bello per noi essere qui». Scenderemo dal monte per camminare con i fratelli. Restiamo in silenzio. Dopo la pasqua racconteremo quanto accaduto nel nostro cuore con fede.

d. Andrea

 

 

 

 

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