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11 Ott

XXVIII^ domenica T.O. anno C – 2019

Quando si sta male si cerca una soluzione, una via d’uscita che offra speranza, una guarigione. E’ un tempo da non sprecare e su cui vigilare. Quando si sta bene, si cerca di prolungare questo momento, con il rischio di trattenere questa gioia, bloccando quel dinamismo che l’ha provocata. Comunque sia, la vita ci suggerisce sempre una cosa: il cambiamento, un’uscita, un andare verso.

La storia della salvezza inizia con un’uscita, la proposta che Dio fa ad Abramo: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò” (Gen12,1-2), una proposta che Dio continua a fare ad ogni uomo. Gesù stesso la incarna e la compie. Gesù esce dai protocolli, dalle tradizioni, dai pregiudizi. Attraversa terre e villaggi dichiarate ostili nella mentalità, pagane, per offrire salvezza.

“Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano” (Lc 17,11-16).

Gli vennero incontro dieci lebbrosi. Il paradosso è che i sani non lo cercano! Il vero annuncio, la salvezza, non è fare entrare in un sistema religioso ideologico-dottrinale, ma nel fare uscire, verso quella terra che “io ti indicherò” dice il Signore. La terra dell’amore di Cristo che sana e salva!

Secondo le consuetudini del tempo i lebbrosi erano relegati al di fuori delle città; qui il narratore dice che escono dal villaggio, vi abitavano, e poi si fermano a distanza. Chi sono allora i sani? Sono il simbolo di quella chiesa stagnante, che è radicata nel passato e si ostina a rimanere ferma, mai in uscita, sempre sospettosa del nuovo, mai grata dell’amore. Sono il simbolo dell’uomo prigioniero delle sue sicurezze malate, che lo irrigidiscono nel tempo e gli impediscono di muoversi, di uscire da tradizioni e leggi.

“Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati”. Una guarigione che avviene per aver accettato un’uscita, di andare verso quella chiesa che ha invece ricevuto il ministero di guarire quando rimane fedele al Signore. E’ la fede che ci invita a lasciare vecchi equilibri, perché ci consegna il coraggio di credere nella parola che salva. Un uscita che purifica, e prevede che ci riconosciamo cambiati, diversi. Solo allora scatta il desiderio di ringraziare: la gratitudine.

“Naamàn si sdegnò e se ne andò dicendo: «Ecco, io pensavo: «Certo, verrà fuori e, stando in piedi, invocherà il nome del Signore, suo Dio, agiterà la sua mano verso la parte malata e toglierà la lebbra». Forse l'Abanà e il Parpar, fiumi di Damasco, non sono migliori di tutte le acque d'Israele? Non potrei bagnarmi in quelli per purificarmi?». Si voltò e se ne partì adirato. Gli si avvicinarono i suoi servi e gli dissero: «Padre mio, se il profeta Eliseo ti avesse ordinato una gran cosa, non l'avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto: «Bàgnati e sarai purificato»». Egli allora scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola dell'uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato” (2Re 5,11-14). Quando usciremo dalla presunzione di comandare a Dio? Quando usciremo dal nostro sdegno per immergerci nuovamente nell’amore di Dio? «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».

d. Andrea

 

 

 

 

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