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16 Mar

ALLONTANARSI DALL’ACQUA

III^ domenica di Quaresima 2017

Non c’è villaggio, città o cultura che non sia sorta vicina all’acqua. Abitare, costruire,  vivere lontano dall’acqua, vuol dire aumentare rischi, difficoltà e costi. Per lunghi anni gli ebrei hanno fatto nel Sinai l’esperienza della sete e dei miraggi, hanno scavato pozzi e sognato una terra dove l’acqua scendesse dal cielo sotto forma di piogge e rugiade. Nomadi in un deserto desolato, hanno associato le lande assolate alla morte e l’acqua alla vita, alla bellezza.

Usciti dall’Egitto e passato il Mar Rosso, il popolo d’Israele guidato da Mosè, si è messo in cammino nel deserto. Hanno iniziato il viaggio con slancio ed entusiasmo, come accade per ciascuno di noi, quando trova una via di fuga, un leader che offre la libertà. Ma presto sono cominciate le difficoltà: il caldo, la stanchezza, i serpenti, la fame e soprattutto la sete.

Nella Bibbia l’immagine dell’acqua ricorre nei contesti più svariati. L’innamorato contempla l’amata: “Fontana che irrora i giardini” (Ct 4,15); ai deportati in babilonia, Dio assicura un futuro prospero e felice con promesse legate all’acqua: “Scaturiranno acque nel deserto… La terra bruciata diventerà palude” (Is 35; 41). Ma una cosa accumuna i tempi e le storie: allontanarsi dal Signore, significa fare scelte di morte, equivale a rimanere senza acqua: “Hanno abbandonato me sorgente di acqua viva per scavarsi cisterne screpolate che non contengono l’acqua” (Ger 2,13).

Non è solo l’esperienza di un popolo, ma la storia di ciascuno di noi che crediamo di procedere nella vita senza acqua, attirati da facili promesse che ci prosciugano lentamente. Camminiamo stanchi e sfiniti, aggrappandoci a miraggi, bevendo ogni cosa, ignorando e dimenticando nel tempo, l’esistenza di un’acqua che disseta veramente tutte le nostre esigenze. Israele nell’esperienza dell’Esodo, arriva a Massa e Meriba, crede di essere stato condotto là per morire. Comincia a dubitare della fedeltà di Dio alle sue promesse. Giunge a sospettare che la liberazione dall’Egitto sia stata un tranello. Massa e Meriba, due parole che in ebraico, significano: tentazione-discussione. Il popolo arriva a dire: “Il Signore è in mezzo a noi Si o No?” (Es 17,7). Lo pensiamo anche noi oggi. Compaiono presto dubbi, esitazioni, si sente il bisogno di prove. Non c’è la pazienza di interrogarci, di una verifica, la disponibilità di fare penitenza. Quello che è più grave è che questa generazione si è dissetata alla sorgente del Signore, e lo ha disconosciuto e tradito. La nostra nazione, le nostre comunità sembrano sempre più pagane.

Il Signore continua ad attendere dalle nostre anime non solo sfide, ma una conversione di vita  conforme alla Sua Volontà.  Dalla roccia percossa da Mosè uscì l’acqua, così ancora oggi da Gesù, sgorga l’acqua di Vita Eterna. La Quaresima è il tempo per distaccarci da ciò maggiormente ferisce il Signore: il peccato e la ribellione al Suo Amore, per tornare alla sua fonte.

L’esperienza di Israele che esce dall’Egitto si ripete nella vita di ogni cristiano. Ogni conversione è un abbandono della “terra della schiavitù” e segna l’inizio di un cammino. Il Signore ha scelto un segno prodigioso a Massa e Meriba per mostrare agli Israeliti che l’acqua non era il risultato dei loro sforzi, del loro impegno, della loro abilità: era un dono soltanto suo e completamente gratuito. Torniamo a costruire i nostri rapporti, le nostre famiglie, le nostre politiche, le nostre comunità vicino all’acqua. Questo tempo di forti tensioni e aggressività , di poca fiducia, è il segno evidente che manca “l’acqua” per dissetare anime e menti. Gesù stesso chiede “Dammi da bere!”, ma ricorda anche: “Se tu conoscessi il dono di Dio…” (Gv 4). Quanto vogliamo soffrire ancora illusi di poter vivere lontano dal dono dell’acqua?

d. Andrea